In dialogo con Valentino, volontario del servizio amplificazione

Quale vita si muove attorno al Pellegrinaggio? Che esperienza vivono i nostri volontari coinvolti nei vari servizi? Iniziamo a conoscere alcuni di loro incontrando Valentino, da molti anni impegnato nel servizio che 'fa risuonare' la voce del Pellegrinaggio.

Come è iniziata la tua esperienza al pellegrinaggio, chi te lo ha proposto, perché ti sei coinvolto?

L’esperienza è iniziata tanti anni fa, mi ha coinvolto Giuliano, un amico che abitava vicino casa mia. Lui era un volontario che faceva il pellegrinaggio portando le carrozzine della amplificazione. Più volte mi ha detto: “Valentino, se ti fa piacere, mi vuoi accompagnare?” Ho iniziato con lui, l’amico m’ispirava fiducia. Le prime volte che ho parlato con lui io stavo già andando a Loreto come pellegrino con mia madre, che camminava abbastanza bene e mi chiedeva di accompagnarla; ero giovane. Ho fatto il pellegrinaggio con mia madre per 2-3 anni e il mio amico continuava a chiedermi: “Perché non vieni? Siamo un gruppo, stiamo insieme” mi ha fatto capire che era un servizio, un “offrire” agli altri. Questo lo sentivo come mio, allora ho accettato dicendomi: “ provo, vediamo, per una volta non succede niente”. Dopo aver provato una volta ho sempre continuato, perché questa esperienza mi ha sempre entusiasmato. Quando si fa questo pellegrinaggio, da quando si parte fino a quando si arriva, è tutta una festa, una festa continua, perché si incontrano molte persone, anche molto diverse, ma ci si aiuta tutti.

Come si è formato il tuo gruppo?

Eravamo un gruppo di amici; non so come sono diventato capogruppo, mi hanno chiesto di organizzare la squadra numero quattro ed io ho detto: “bene!” e mi sono organizzato. Abbiamo iniziato così, stando insieme. La prima volta eravamo 10 perché servivano 10 persone. Ognuno ha coinvolto un’altra persona. L’anno dopo, sempre prima del pellegrinaggio, ho proposto di andare a mangiare una pizza insieme e ognuno portava qualcun altro. C’è qualcuno un po’ tosto fra noi, ma se poni attenzione sono persone che ti danno anche il cuore. Io i miei amici li chiamo per telefono, non uso i messaggi, voglio sentire la voce della persona che cerco, perché, sentendo la sua voce, mi accorgo se c’è entusiasmo, se è dispiaciuta, se è contenta. Io chiamo sempre per telefono, anche ora; allora ognuno racconta, dice se lo scorso anno si è trovato bene oppure no, perché non tutti gli anni sono uguali. Così da 10 siamo arrivati a 30-35 volontari e questo va bene, perché ogni anno potrebbe esserci qualcuno che manca. Nel gruppo ci sono uomini e donne, giovani e adulti e il fatto che ognuno invita amici ti permette anche di reincontrare persone che non vedevi da anni, come è capitato a me che ho rivisto dopo molto tempo un mio ex collega invitato da un mio amico.

Un momento un po’ difficile lo abbiamo vissuto quando è stata cambiata l’organizzazione del servizio. All’inizio per l’amplificazione utilizzavamo le carrozzine ed era una cosa bellissima, perché partecipavi stando dentro, in mezzo ai pellegrini, ma succedeva che con la carrozzina tu dovevi stare molto attento nel guardare quella davanti e quella dietro, perché, se ci si avvicinava troppo, non si sentiva bene. Allora ci siamo incontrati con gli amici del Comitato ed è stato deciso un cambiamento, cioè di sostituire le postazioni mobili con quelle fisse. Qualcuno è rimasto “un po’ così” perché con la carrozzina tu stavi dentro il pellegrinaggio, lo vivevi minuto per minuto, ascoltando le persone, si pregava insieme, a volte si cantava in gruppo, lo vivevi minuto per minuto fino alla fine. Era bellissimo. Anche ora è bello. Allora li ho chiamati per dire che iniziavamo a fare una nuova esperienza. Qualcuno ha detto “Va bene” altri “io non so se ci vengo, perché mi piaceva di più fare come prima”. Allora ho detto “proviamo comunque”, e li ho invitati a vederci mangiando insieme portando ognuno qualcosa. Non lo nascondo che ho una voglia matta di rifare il cammino con le carrozzine in mezzo al popolo, ma io sono grato al Comitato perché nel tempo mi sono accorto che ci hanno dato la possibilità di crescere.

Come è cambiato il vostro servizio? Perché vi ha dato la possibilità di crescere?

Abbiamo formato 16 squadre con 10 altoparlanti, ogni squadra è composta da almeno 11 persone, ma nella mia squadra ed anche in qualche altra, siamo molti di più. Dopo questo cambiamento ogni squadra ha una postazione iniziale ed altre due da raggiungere lungo il cammino. Ci prepariamo così: prima partecipiamo alla S. Messa a Villapotenza, poi ceniamo insieme preparando tutto fra di noi, terminata la cena, ci mettiamo in cammino per raggiungere la prima postazione. Alle 21 siamo fermi lì, con il nostro altoparlante in cima a un palo, in attesa dei pellegrini. Terminato il passaggio dei pellegrini, ci spostiamo per raggiungere la seconda postazione passando per le vie limitrofe. Dopo l’ultima postazione molti continuano il pellegrinaggio a piedi verso la Santa Casa. La mia è la squadra n°4 e come le altre squadre portiamo 10 altoparlanti che disponiamo ad una distanza di 60- 80 m. l’uno dall’altro ed alternati sui due lati della strada per facilitare l’ascolto. Noi stiamo fissi, fermi, noi aspettiamo. Io sono dell’idea che è meglio che le nostre squadre siano numerose, perché è bene che in ogni postazione ci siano più persone che si fanno compagnia, dandosi una mano, perché ci sono dei punti dove si è in aperta campagna ed è notte fonda mentre si attende l’arrivo dei pellegrini: aiuta essere in compagnia, anche questo è importante.

Hai parlato della bellezza dello stare dentro il cammino. Hai presente qualche episodio di questi anni, qualcosa che ti ha particolarmente colpito, quello che hai visto, le testimonianze ascoltate?

Una cosa che ogni volta mi colpisce è l’entusiasmo che hanno i pellegrini, è un entusiasmo particolare, è come una luce, una luce immensa. Noi sia prima, quando portavamo la carrozzina, sia ora stando fermi, ascoltiamo il pellegrino che passa. C’è quella persona che si ferma per chiedere aiuto, qualcun'altra che chiede: “Dove siamo? Che paese è? Cosa sono quelle luci nella notte?” Qualcun altro ci chiede dove è il ristoro, o dove sono i medici perché è caduto. Poi c’è quella persona che, con il rosario in mano, ci chiede quanto tempo è rimasto per la Santa Casa, condividendo a volte il bisogno che la porta ad andare. Io li incoraggio sempre “stai tranquillo che è rimasto poco, è più il cammino che hai fatto che quello che rimane”. Siamo dei compagni della notte.

E poi la pioggia. L’esperienza della pioggia è una cosa eccezionale. Ho visto persone che con la pioggia, ma tanta pioggia, hanno continuato a camminare con lo stesso entusiasmo, non uno che pensa “quando mai ci sono venuto”, e vedi anche il pellegrino che si è fatto male, ma desideroso di continuare nel cammino. Poi una cosa che mi è successa due anni fa. Mentre ero alla prima rotonda di Villapotenza arrivano un babbo e una mamma e mi dicono “abbiamo perso nostro figlio, l’abbiamo cercato, ma non riusciamo a trovarlo”. Subito siamo andati dalla polizia, poi c’era anche la pattuglia dei carabinieri e ho parlato con tutt’e due sia con la polizia che con i carabinieri, ho dato le indicazioni di questo bambino capelli, altezza, età. Poi lungo il tragitto queste persone passando mi riconoscono e mi ringraziano, avevano rintracciato il bambino e me l’hanno detto. Tutte le squadre hanno una loro esperienza ma l’esperienza più bella, l’ho vissuta tante volte, è quando si arriva a Loreto, quando si va giù per quella discesa, quando si arriva lì ti sembra di spiccare il volo. Anche i canti durante il cammino sono importanti, specialmente al mattino, quando inizia la stanchezza, quelle canzoni ti danno vita.

Il vostro servizio, per il fatto stesso che ci siete, diventa un punto di riferimento per cui uno si sente accompagnato

Ogni squadra è un punto di riferimento per il pellegrino perché sanno che possono contare sul nostro aiuto, noi ci siamo, siamo una presenza costante. Quando abbiamo iniziato questo nuovo servizio, qualcuno all’inizio era un po’ titubante, penso che però oggi tutti hanno capito che è importante essere lì. Questo fatto dello stare fermi all’inizio sembrava come un di meno, che ci sto a fare fermo qui? Invece è stata una grande occasione, che ci sta facendo crescere. Il nostro è un servizio che va oltre il fatto del tenere un palo, siamo consapevoli che siamo più di aiuto ora di prima. È un sacrificio il lavoro dei ragazzi di tutte le squadre, ma fatto con tanto spirito, è un sacrificio che forse i primi anni per qualcuno era pesante ma ora non lo è più. Tutti stiamo diventando più consapevoli di quello che siamo all’interno di questo pellegrinaggio. Durante l’anno ci incontriamo con gli amici della nostra squadra, penso lo facciano anche le altre squadre.

Come è nata l’idea di incontrare tutti i volontari del servizio il 26 gennaio? Il pranzo lo avete proposto voi?

Il pranzo del 26 l’abbiamo proposto noi. A settembre incontro per caso il mio amico Maurizio, parliamo insieme ed è nato il desiderio di fare una cena per tutte la squadre. Noi non ci conosciamo tutti, allora, anche per conoscerci, perché non ci incontriamo tutte le squadre? Ci sono cose che io non voglio perdere, come il bello di ritrovarsi, per questo ho detto a Maurizio di fare questo pranzo insieme proprio per ritrovare quell’armonia, per dialogare, guardarsi in faccia. A me piace il rapporto umano, quello diretto; nelle squadre ci sono donne, uomini, adulti, giovani che vengono dalle situazioni e dalle esperienze più diverse, è importante conoscerci, ascoltarci.

Nella gente che cammina si vede un grande desiderio perché ognuno porta una storia, una domanda, una sofferenza da consegnare, una grazia da chiedere, un fatto per cui ringraziare

Sì, ognuno ha la sua storia, la sua fede, ognuno ha la sua grazia da chiedere, ognuno ha la sua luce. Stando fermi uno vede tante cose e queste facce che ti passano davanti le vedi a Villapotenza, a Fontenoce, a Chiarino, vedi queste espressioni, vedi che si danno la mano anche fra di loro. Per me è una cosa molto grande che non è facile da spiegare, è qualcosa di grandioso che entra dentro ogni pellegrino, è una forza che viene dentro e che ti fa andare avanti. È difficile da spiegare a parole. Non è sufficiente ascoltare, bisogna vederlo di persona, devi fare esperienza. Uno dice: “il pellegrinaggio è bello, grandioso, meraviglioso”: devi partecipare per accorgertene.

Mi sembra un punto importante della tua esperienza. Per poter cogliere la grandezza di quel gesto uno deve viverlo. Se dovessi sintetizzare in poche battute la tua esperienza del pellegrinaggio per te che cos’è?

Per me è una luce immensa. Io lì sto bene, mi sento bene, perché vedo queste persone con tanta luce. C’è tanta fatica, i chilometri sono tanti, ci sono anche persone anziane, ma tutto è attraversato da una consapevolezza diversa e questo si vede dalla faccia. Io vedo tanta luce in ogni pellegrino, nelle coppie col bambino piccolo in carrozzina, in quella persona che è malata ma è lì, di fronte all’acquazzone in cui tante volte ci siamo imbattuti e sono li. Non ci sono parole di fronte a tutto questo. Tutti quelli che vengono da fuori, da lontano, che affrontano tutto il viaggio in pullman, e poi tutto il tragitto a piedi, sono persone illuminate, per questo mi sento bene. Poi questo nuovo servizio, questo nuovo modo, ci sembrava di essere inutili, lì fermi impalati e invece no; solo per il fatto che ci sei questo per il pellegrino è importante, sei un punto di riferimento, un aiuto. Sembrava uno stare lì inutilmente e invece si è rivelato un’esperienza per noi e per chi ci incontra. Incontrando persone del Nord e del Sud è come girare tutta l’Italia e anche un po’ di Europa, quante persone vengono da lontano a trovare questa luce immensa, tante piccole luci che vanno verso la luce, attratti dalla Luce, ognuno per il suo bisogno, ognuno con il suo credo. In questa esperienza ci arricchiamo, riceviamo molto, spero che tutti se ne accorgano. L’ampliamento della mia squadra è venuta da solo, non ho forzato. Sono persone venute da sole. Se ho un dono dentro di me e lo tengo per me rimango solo. Il dono è da condividere, questo i ragazzi l’hanno percepito e si sono responsabilizzati. Io sono mancato un paio di volte, ma loro sono andati alla grande.

Dipende anche da come si sentono guardati. Il fatto che tu li guardi in questo modo, che c’è una cura, che ti stanno a cuore... è come se tu dicessi a ciascuno: “sono contento che ci sei”; da questo sguardo nasce il desiderio di mettersi in gioco...

E’ così, hai centrato in pieno. Un conto è dire "vieni a darmi una mano", altro è dire "ti farebbe piacere stare con me questa sera?" Come dire “tu sei importante per me”.