Testimonianza notturna di Carmine, Ancona

Vorrei raccontarvi quanto mi è successo lo scorso 10 maggio a Roma, durante l'incontro tra Papa Francesco e il mondo della scuola.

Quando mi è stato detto di quest'incontro qualche mese fa, ho subito desiderato essere presente; così ho chiamato alcuni amici e ci siamo organizzati: dovevamo partire in quattro. Ma, raccontando di questo appuntamento ai nostri compagni di scuola, e colpito dal loro desiderio di parteciparvi, ogni giorno si aggiungeva qualcuno e alla fine siamo partiti in quindici.

Questo è il primo elemento che mi fa dire che tutta la giornata è stata traboccante, sovrabbondante, di amici con cui ho condiviso questo momento, con cui ho camminato insieme, "guardato l'orizzonte insieme", traboccante di fedeli (eravamo 300mila, da Piazza San Pietro a Castel Sant'Angelo), e traboccante di umanità, l'umanità di alcuni interventi che hanno preceduto quello del Papa e l'umanità del Papa stesso, della sua faccia che non dimenticherò mai, della familiarità con cui dalla Papamobile ci guardava esultanti.

Alcuni fatti e parole mi hanno colpito in particolare: vedere come la tensione, le preoccupazioni di noi tutti fedeli durante la lunga attesa (per il caldo, la ressa, le difficoltà nello spostarsi) sono d'improvviso sparite davanti alla comparsa del Papa in piazza, in quel momento eravamo tutti tesi verso la sua presenza, tutti 300mila avevamo un desiderio comune, quello di guardarlo da vicino e di essere guardati da lui.

Mi porterò nel cuore (soprattutto in questa settimana che sta per iniziare, che mi separa dall'esame di maturità) ciò che ci ha detto il Papa in conclusione dell'incontro, del perché lui ami la scuola. Mi colpisce che per rispondere a questa domanda non ha iniziato facendo un discorso di pedagogia o sull'importanza dell'educazione, ma raccontandoci della sua prima insegnante, che ha continuato a frequentare anche dopo aver terminato gli studi; ci ha detto: "amo la scuola perché quella donna mi ha insegnato ad amarla".

Anche a me in questi anni è accaduta la stessa cosa: mi sono appassionato ad alcune materie, argomenti di studio perché ho avuto accanto a me insegnanti o amici che amavano appassionatamente quello che spiegavano o studiavano, che mi hanno fatto capire che a scuola, e in generale nella vita, "il contrario dell'essere distratti non è essere attenti, ma attratti"; che quello che conta è scoprirsi dominati da uno stupore e un'attrattiva che vincono la nostra fluttuazione e distrazione, e ci fanno vivere il presente con un'intensità che vorremmo per sempre.

Così, nonostante la fatica quotidiana (che non è messa da parte), lo studio si è rivelato un'occasione, più che per fare analisi su come funziona la realtà e su chi ha ragione, per capire qualcosa in più su di me; la scuola si è trasformata in una esperienza reale di unità fra quello che studio e quello che sono.

Questa è per me la sfida più grande, a cui occorre dire di sì o no ogni giorno, anche in questi giorni che mi separano dall'esame di maturità, per non rimanere intrappolato in 'piano di studio' e, quindi, per non ridurre lo studio a un'attività di organizzazione e ottimizzazione del tempo.

L'invito che mi porto dall'incontro col Papa, è a pensare la scuola come un'occasione di apertura alla realtà nella sua interezza, "nella ricchezza dei suoi aspetti e dimensioni", e a vivere l'esame non come un ostacolo da superare, ma come la possibilità di riscoprire ciò di cui ho veramente bisogno per vivere.